Opinioni & Commenti
Venezia simbolo dell’Italia a rischio, da Santa Croce il ricordo e la solidarietà
L’affermazione pone a tutti noi un’istanza di civiltà e di buon governo. Un’istanza e una responsabilità che ci hanno affidato i Padri Costituenti con l’articolo 9 della Carta dove si afferma che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura…tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione».
A lungo le acque che solcano le lagune e le calli sono state per Venezia come le mura delle città medievali: una protezione. Erano in realtà molto di più: strumenti di comunicazione (con quella riverenza naturale che si deve ai grandi), di commercio (con le galee, imbarcazioni strette e affilate che si distinguevano dalle cocche genovesi nel Mediterraneo, congeniali ai passaggi stretti e a trasportare merci leggere e preziose che venivano dall’Oriente,) e di distinzione. Si, perché non c’era e non c’è una città come Venezia. Venezia è unica al mondo.
Per questo l’alluvione (mi resta difficile chiamarla acqua alta), che l’ha colpita e ferita, ha avuto vasta eco nei notiziari di tutto il mondo e, per più di un attimo, ci ha riportati al 1966 quando, ahimè, la città della Laguna condivise con Firenze la stessa triste sorte. Così l’acqua, che per lungo tempo è stata per le due città madre naturale e generosa – si pensi anche all’Arno che ha trasportato il legname dal Casentino per la costruzione della città (lo stesso crocifisso di Cimabue a Santa Croce, vittima illustre dell’alluvione, fu realizzato con quei legni) – è divenuta matrigna.
Un’acqua salata, quella veneziana. Poche ore dopo l’inondazione già gli operai della Procuratoria di San Marco erano al lavoro per intervenire con acqua dolce sui marmi ed i mosaici compromessi. «Sono danni subdoli: l’acqua va via ed evapora, ma il sale rimane dentro», hanno detto preoccupati il Proto Mario Piana e il Procuratore Pierpaolo Campostrini, a cui va tutta la nostra più profonda vicinanza, fortificata dal legame strettissimo che unisce i presidenti e i consiglieri delle Fabbricerie italiane, istituzioni antiche al servizio di un patrimonio unico e fragile allo stesso tempo. E dire Venezia, come scriveva Stendhal, significa avere negli occhi la Basilica di San Marco, la prima moschea che si incontra andando verso Oriente. La città di Tiziano – che aveva colpito lo scrittore francese così come la cappella Niccolini all’interno della Basilica di Santa Croce gli aveva procurato quel senso di smarrimento (più tardi codificato come «sindrome») – va difesa e protetta anche per questo: per i suoi tesori d’arte e architettura, e per quei valori immateriali, intangibili e spirituali – di crocevia tra Oriente e Occidente – che da sempre custodisce e ispira. E così vanno difesi e protetti tutti i tesori del nostro Paese: penso alla paura vissuta in questi giorni nuovamente anche a Firenze e Pisa, ma anche a Matera e negli altri siti storici minacciati anche loro dall’acqua o dalla melma.
*presidente dell’Opera di Santa Croce