Opinioni & Commenti

Se la sanità in Toscana non fosse più un’eccellenza

Ho lasciato il Consiglio regionale dopo quindici anni di presenza in commissione sanità, all’indomani di un’importante riforma che riduceva e riorganizzava una ventina di enti sanitari e che avrebbe potuto consentire una più omogenea e razionale distribuzione dei servizi assistenziali.

Adesso, a distanza di quasi quattro anni, da semplice cittadino, non mi meraviglio più di tanto degli avvenimenti di questi giorni. È oramai quasi un decennio che si assiste alla riduzione, di fatto, dei finanziamenti statali alle Regioni (la dotazione del fondo sanitario nazionale, che era di 110 miliardi nel 2014, è infatti oggi di 115 miliardi).

La Toscana ha retto solo in parte a questa sfida: non c’è stata adeguata riconversione funzionale delle piccole strutture ospedaliere, il passaggio dal ricovero ordinario a quello diurno e dal ricovero diurno all’assistenza in regime ambulatoriale – per favorire così l’assistenza residenziale e domiciliare – non si è realizzato, si è ulteriormente deteriorato il già difficile rapporto di integrazione tra pubblico e privato (quest’ultimo ridotto ad un ruolo residuale e marginale), le liste di attesa non sono diminuite (è il caso degli esami diagnostici o degli interventi chirurgici non urgenti). Si sbandiera costantemente il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, ma il diritto a una prestazione viene garantito solo «compatibilmente con la situazione organizzativa e finanziaria».

Avere i conti a posto non può quindi diventare la principale giustificazione quando ancora troppe sono le cose che non funzionano. Senza considerare il vero stato dei bilanci delle aziende sanitarie, salvati in questi anni anche grazie ad artifici di carattere contabile (basterebbe ricordare la vicenda del «buco» di centinaia di milioni di euro all’Asl di Massa, di cui stranamente non si sente più parlare…).

Infine la questione della «fuga dalla sanità» di decine di dirigenti. Sicuramente è stata inaspettata la revoca di Monica Calamai, Direttore generale della sanità toscana, nell’arco di poche ore, dopo un ventennio di incarichi ai massimi livelli, ma non mi sorprende che ciò sia avvenuto in un sistema verticistico, autoreferenziale e diretto da personaggi caratterizzati soprattutto dal rapporto di fedeltà nei confronti del governatore Enrico Rossi, vero dominus incontrastato della sanità toscana negli ultimi vent’anni. Di conseguenza non sempre sono stati scelti i migliori: troppe volte anche primari e dirigenti sono stati selezionati più per «orientamento politico» che per le loro qualità professionali (le recenti indagini sui concorsi truccati nelle aziende ospedaliero-universitarie lo dimostrano).

Anche le vicende della sanità della vicina Umbria dovrebbero essere motivo di riflessione: quando un sistema non si rinnova, non opera con la necessaria trasparenza e non privilegia la competenza delle persone, non sarà mai in grado di contrastare con successo gli sprechi, le inefficienze, le situazioni di inoperosità e i lassismi, talvolta anche il malaffare.