Opinioni & Commenti
L’associazionismo cattolico chiamato a reinventarsi il futuro
Il voto del 4 marzo ha dato con fatica un governo al Paese, ma non ha certo risolto la crisi della politica, della sua credibilità, della sua capacità di fare scelte realistiche e di dare risposte coniugate con il «cervello» dei cittadini piuttosto che con la loro «pancia».
In questo quadro caratterizzato da difficoltà economiche oggettive, dallo sfilacciamento dell’Europa e da una direzione di marcia del governo e dei partiti che lo sostengono tutt’altro che chiara e stabile, spicca l’irrilevanza dei cattolici in politica, ma anche nella cultura, nel campo sindacale e in qualche misura anche nel sociale. Al tempo stesso spiccano le contraddizioni sempre più accentuate fra l’insegnamento della Chiesa e dello stesso Vangelo e le posizioni di molti cattolici, non solo per quanto riguarda il tormentato capitolo immigrazione.
Non si tratta di esprimere giudizi, ma di prendere atto della realtà. E allora che cosa si può fare, come reagire all’irrilevanza e ricostruire una nuova presenza? Un ruolo rilevante potrebbero averlo i movimenti e le associazioni cattoliche chiamate tutte, possibilmente, ad impegnarsi assai di più, ad uscire da una certa autoreferenzialità, che in qualche caso esiste, a svolgere non solo un ruolo di formazione ma anche prepolitico, cioè di preparazione adeguata alla realtà di oggi ad un nuovo e diverso impegno politico. Pur con difficoltà e problemi (movimenti e associazioni non sono certo isole felici) hanno ancora potenzialità ma devono uscire maggiormente allo scoperto, debbono raccordarsi di più da un lato con la Chiesa e dall’altro con la gente.
Bisognerebbe rivitalizzare i circoli, gli oratori, gli spazi aggregativi che esistono dentro e fuori le parrocchie, modificare l’immagine dei «cattolici del cappuccino» (anche per l’età media degli attuali frequentatori), impegnarsi di più nel sociale in coerenza con un insegnamento che resta sempre valido.
Facile a dirsi, la realtà è ben complessa per molti motivi compresi i tagli subiti negli anni dagli enti di servizio, come i patronati, le difficoltà a far crescere nuove generazioni di volontari ed anche – perché negarlo? – per le scorrette gestioni di alcuni centri per immigrati.
Difficile a farsi, ma in gioco è il futuro e la credibilità-capacità di reinventarsi da parte dell’associazionismo cattolico nel suo complesso.
Chi crede nella necessità di dare un suo contributo deve impegnarsi. Personalmente, e non certo con la presunzione di dare il buon esempio, torno a farlo nel Mcl che è stato molti anni fa la mia scuola di formazione sociale e di impegno prepolitico. È tempo di tornare su quei «banchi».