Opinioni & Commenti
I temi del viaggio in Sudamerica e dell’intero pontificato di Francesco
Nei cinque anni del suo pontificato il primo papa sudamericano della storia ha visitato otto dei venti paesi che compongono l’America Latina. Rivediamo questa lunga e quasi ininterrotta sequenza: Brasile (2013), Ecuador, Bolivia e Paraguay (2015). Cuba (2015), Colombia (2017), Cile e Perù (2018).
I risultati più visibilmente corposi anche dal punto di vista politico di questi viaggi sono la fine, dopo sessant’anni, dell’embargo americano a Cuba con la ripresa del dialogo fra Raoul Castro e il presidente Obama e la fine, anche se ancora non del tutto certa, di una guerriglia in Colombia durata quasi settant’anni con 210 mila morti, 25 mila sequestri di persona e otto milioni di sfollati.
Ormai sappiamo quali sono i temi essenziali di questo pontificato che sono stati anche il costante messaggio dei viaggi in Sudamerica: riequilibrio fra Nord e Sud, rifiuto del potere della finanza sui governi, tutela dell’ambiente, difesa delle popolazioni indigene, lotta alla povertà, attenzione agli ultimi, economia sociale.
Ma purtroppo negli ultimi anni la politica del continente americano è andata quasi costantemente in direzione opposta. Da governi seppure genericamente di sinistra verso governi di destra. Da politiche tese a ridurre almeno nelle intenzioni la disuguaglianza a politiche di più o meno esplicito liberismo economico.
In Brasile, il paese più importante di tutto il continente, ai governi di centro sinistra di Lula e di Delma Roussef è successo il governo del molto più moderato Michel Temer e forse alle elezioni di questo anno vincerà Jas Maria Bolsonaro, un militare di estrema destra sostenitore della pena di morte e della liberalizzazione del commercio delle armi in questo sostenuto non solo dai proprietari terrieri, ma anche purtroppo dalla chiesa evangelica locale. In Cile a Michelle Bachelet, figlia di un uomo torturato e ucciso durante il regime di Pinochet, succederà dal marzo prossimo il plurimiliardario Sebastian Pineira con il suo programma liberista. In Perù è al potere Pedro Pablo Kuczynski, un uomo della Banca mondiale, teorico della riduzione delle tasse per attirare investimenti che ha concesso la grazia ad Alberto Fujimori, presidente dittatore degli anni Novanta del secolo scorso dimessosi per corruzione e condannato a 25 anni come mandante di 25 omicidi.
In Argentina a sostituire il governo della peronista di sinistra Cristina Kirchner è arrivato Manrico Macrì del partito di destra Cambiemos che ha liberalizzato prezzi e mercato del lavoro, che è stato scoperto dirigente di società offshore che operano nei paradisi fiscali e che, dopo la ristrutturazione del debito argentino operata dalla Kirchner, ha pagato al contraio fino all’ultimo centesimo il debito argentino agli speculatori dei cosiddetti «fondi avvoltoio» che comprano a prezzi stracciati il debito di un paese in difficoltà per poi farselo pagare integralmente servendosi di una sentenza di un tribunale internazionale. Molti giornalisti hanno scritto che proprio per questo clima politico in patria l’argentino papa Bergoglio non ha voluto finora atterrare nel proprio anche se lo ha ormai sorvolato più volte.
Se si tiene conto di questo nuovo volto dell’America Latina ufficiale si comprende molto meglio perfino la liturgia singolare dell’ultimo viaggio. Gli incontri ufficiali con le autorità sono stati ridotti al minimo consentito dal protocollo. Il benvenuto di rito all’aeroporto, le visite di cortesia di pochi minuti. Ma nulla di più della buona educazione diplomatica. Niente incontri ufficiali plateali, niente cerimonie pubbliche comuni, niente discorsi di omaggio e nemmeno di perorazione alle autorità. Alla fine il papa ha accusato esplicitamente la politica del subcontinente di essere infetta di corruzione.
Al contrario, in Cile, il papa ha incontrato ufficialmente le donne carcerate, le vittime dei preti pedofili, i parenti dei perseguitati del regime di Pinochet ed è andato a pranzo con i nativi Mapuche. In Perù ha incontrato i rappresentanti della popolazione dell’Amazzonia, le famiglie colpite dalle inondazioni dello scorso anno, i bambini abbandonati ospitati alla casa famiglia «Piccolo Principe». In sostanza il papa, al di là delle grandi Messe popolari affollatissime, ha visitato quasi soltanto vittime, ultimi o, come questo papa usa dire, «scarti» di ieri , di oggi, di sempre. È stata in sostanza questa scelta a qualificare il viaggio e a parlare anche ai grandi attraverso le parole rivolte ai piccoli e agli emarginati. Fra i quali il posto d’onore è toccato ai nativi. Non solo perché il papa della Laudato si’ visitava i paesi dell’Amazzonia che è il grande termostato del clima della terra. Non solo perché i nativi rappresentano un po’ i panda del genere umano. Ma perché, nel loro estremismo eroico come quello dei santi eremiti di una volta, nel difendere la natura contro lo sfruttamento insensato di chi oggi la distrugge, i nativi rappresentano la radicalità compensatrice di chi spesso la natura non l’ha toccata nemmeno con l’agricoltura. E infine perché rappresentano le reliquie di un mondo che nella storia è stato invaso violentemente e ferocemente da un altro mondo che oggi si chiude anche alla migrazioni pacifiche.
E l’attenzione ai nativi, gli indios che anche se convertiti spesso non uscivano dalla marginalità della loro razza, non riguarda ormai solo la punta dell’America del Sud. Nel maggio scorso il leader canadese Justin Trudeau ha chiesto al papa di visitare anche i nativi canadesi. Un po’ più giù, negli Usa, è partita la causa i beatificazione Di Black Elk (Alce Nero) il grande capo sioux sopravvissuto bambino ai grandi famosi massacri di Little Big Horn (1876) e di Wounded Knee (1890 ) e morto nel 1950.