Opinioni & Commenti
Vaccini: guardare i dati per andare oltre le sterili polemiche
Nel nostro Paese è ancora viva la polemica sull’obbligatorietà dei vaccini. Tra decreti ministeriali e agitazioni di piazza, una così cruciale questione, che dovrebbe essere di esclusiva pertinenza scientifica – e solo di conseguenza anche politico-normativa -, ancora una volta assume gli incomprensibili contorni di una battaglia ideologica tra «favorevoli» e «contrari». Niente di più sbagliato, evidentemente!
Eppure, basterebbe limitarsi ad usare la pacata ragione che si confronta con i dati concreti, al netto di ogni fuorviante «disinformazione», volontaria o involontaria che sia, per trovare la corretta risposta sociale al bisogno ancora attualissimo di ricorrere a questo prezioso presidio sanitario.
Quanto avviene negli altri Paesi moderni e tecnologicamente avanzati, per analogia, può aiutarci a comprendere le effettive conseguenze di una diminuzione delle campagne di vaccinazione.
Ad esempio, è utile riferirsi ad un recente studio (pubblicato su «JAMA Pediatrics«), realizzato negli Usa da un gruppo di ricercatori della Stanford University e del Baylor College of Medicine. Si tratta di una stima (riguardante i soli Stati Uniti), delle plausibili conseguenze di una diminuzione di appena il 5% delle vaccinazioni contro morbillo, parotite e rosolia. I risultati sono allarmanti: i casi di morbillo triplicherebbero, mentre la spesa sanitaria subirebbe un aggravio di circa 2,1 milioni di dollari all’anno (circa 20.000 dollari per ogni nuovo caso)!
Dunque, una pur così lieve variazione rispetto alla copertura vaccinale ottimale è in grado di produrre effetti negativi del tutto significativi. Naturalmente, questa stima è applicabilissima anche ad altri Paesi di livello sociale analogo.
Ritornando al caso degli Usa, va notato che tutti i 50 Stati americani richiedono la triplice vaccinazione prima dell’iscrizione all’asilo o a scuola; tuttavia, in ciascuno di essi sono previste forme di esenzione per ragioni mediche. Inoltre, in tutti – tranne tre casi – le norme prevedono che i genitori possano rifiutare la vaccinazione anche per motivi religiosi, mentre in 18 stati è ammessa l’opposizione dei genitori per ragioni personali. Si sta però diffondendo sempre più la tendenza a mettere in discussione (diminuendole) le cause di esenzione. Ad esempio, la California già nel 2015 ha scelto di eliminare quelle per motivi religiosi e personali, in conseguenza alla grande epidemia di morbillo originatasi nel parco giochi di Disneyland.
In effetti, i dati dimostrano che, finora, le politiche vaccinali statunitensi sono riuscite a contenere il morbillo ad un numero di casi estremamente esiguo (variabile tra poche decine ad alcune centinaia ogni anno). Ma negli ultimi anni, sono aumentate le zone del Paese in cui la copertura vaccinale è diminuita al di sotto della soglia del 90-95 %, livello necessario per scongiurare il sorgere di epidemie.
«Ci siamo concentrati sul morbillo – spiega Nathan Lo, primo autore dello studio – perché si tratta di una malattia altamente contagiosa. È quindi la prima malattia che può dare origine a un’epidemia se calano le vaccinazioni: vale quindi come esempio significativo». È noto, infatti, che una persona contagiata da questo virus (Paramyxovirus), possa diffonderlo attraverso starnuti e tosse, per un periodo che inizia 24-48 ore prima della comparsa della sintomatologia (3-5 giorni prima che compaiano le cosiddette macchie di Koplik), fino a 4-5 giorni dopo la scomparsa della tipica eruzione cutanea (esantema).
Il gruppo di studiosi coordinati da Lo ha analizzato i dati dei Centers for Disease Control and Prevention sulla vaccinazione trivalente, simulando 10.000 scenari che potrebbero verificarsi se il morbillo venisse introdotto nel paese ad un tasso simile a quello degli anni passati. Come già ricordato, basterebbe una diminuzione del 5% della somministrazione del siero trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia), in bambini tra i 2 e gli 11 anni, per l’occorrenza in un anno di un numero triplo di casi di morbillo, nella stessa fascia di età.
Non ce n’è abbastanza per evitare – anche in Italia – sterili polemiche e contrapposizioni, mettendo in campo ogni sforzo comune per implementare tutte le necessarie politiche sanitarie? A noi pare proprio di sì!