Opinioni & Commenti
Don Milani, prete «trasparente e duro come un diamante»
Tre anni fa in una meditazione a Santa Marta Francesco ha ricordato ciò che Gesù rimproverava agli ebrei del suo tempo: «I vostri padri hanno ucciso i profeti e voi per pulirvi la coscienza fate loro un monumento bello».
In realtà il Papa che più di sessanta anni dopo segue don Milani sulla via di Barbiana non è solo un risarcimento e nemmeno un riconoscimento del resto già in corso nella Chiesa da tempo. Si tratta molto più ampiamente di una riconciliazione finalmente compiuta nella storia con una rivalutazione di don Milani che è anche una rivalutazione della sua Chiesa. Come ha detto il Papa citando la madre di don Lorenzo bisogna che «si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa».
Dal 1958, anno della apparizione di Esperienze pastorali, ad oggi sono passati sessanta anni, un tempo più lungo di un ergastolo. Nel frattempo si sono succeduti sette papi e se alla fine la comprensione piena di don Lorenzo è avvenuta, ciò è dovuto non tanto perché nel frattempo sono cambiati gli uomini, ma perché è cambiata in sostanza la sua Chiesa. Sulla incomprensione iniziale ha pesato il fatto, come ha già detto Papa Francesco, che egli indicasse «percorsi troppo avanzati e quindi difficili da comprendere nell’immediato». Ma giocò molto anche l’idea all’epoca piuttosto corrente che ogni discussione all’interno di una Chiesa immaginata composta da credenti infantili fosse causa di smarrimento se non di scandalo. «Confonde le menti» fu l’accusa fondamentale dell’articolo de «La Civiltà cattolica» contro Esperienze pastorali nel settembre 1958. Ma ha avuto un ruolo anche la concezione fortemente gerarchica della chiesa dell’epoca. Perfino il cardinale Dalla Costa si lasciò andare ad un uso ruvido di questo argomento («Io sono il capitano e voi siete i soldati») verso chi cercava di evitare il trasferimento di don Lorenzo a Barbiana. E infine fu cattiva consigliera la presunzione che nella Chiesa la verità si trovi sempre al vertice e la voce di quel «curato di campagna» che ha dato il titolo a due grandi romanzi del Novecento fosse pur sempre un qualcosa da compatire se non da ignorare.
È noto che il giudizio più duro su don Milani («pazzerello») lo diede addirittura il cardinale Roncalli seppure in documenti privati come una lettera al vescovo di Bergamo e una a monsignor Dell’Acqua nell’ottobre 1958. Probabilmente colui che di lì a due mesi sarebbe diventato Papa non aveva letto veramente il libro anche se nelle lettere affermava genericamente di averlo «veduto».
La conferma che il contenuto di Esperienze pastorali al momento del suo ritiro dalle librerie era sostanzialmente sconosciuto ai vertici della Chiesa è venuto da una confessione del 1977, che è anche un sincero atto di contrizione, di monsignor Loris Capovilla, allora segretario di papa Giovanni, che ammise che il volume era stato ritirato dalle librerie nel dicembre 1958 dopo che lui aveva letto al Papa semplicemente la stroncatura del libro fatta da «La Civiltà cattolica» e da «La settimana del clero». Capovilla aggiunse a sua volta che, quando invece aveva letto il libro dieci anni dopo, ci aveva pianto sopra. Comunque nemmeno da parte del «Papa buono» c’era una ostilità verso il sacerdote don Milani. Sempre monsignor Capovilla ha raccontato che, quando nel 1962 don Milani visitò con i suoi ragazzi il Vaticano e, secondo il suo stile, scrisse una dura lettera al Papa contro la burocrazia imperante, monsignor Capovilla gliela lesse e il Papa ne rimase «turbato e commosso».
È noto che Paolo VI spediva periodicamente delle somme a don Milani e si preoccupava che dalla farmacia vaticana giungessero a don Lorenzo le medicine che chiedeva per il tumore che già lo divorava. Tuttavia anche se il Papa rimane pubblicamente piuttosto discreto comincia nel frattempo a parlare sempre più a favore di don Milani la stampa cattolica, anche quella più ufficiale. Mel 1977, ancora regnante Paolo VI, appare su «L’Avvenire» uno splendido articolo di don Silvano Nistri dal titolo significativo: «Ha vissuto solo di fede».
Nel 1990, sotto il pontificato di San Giovanni XXII anche «La Civiltà cattolica» torna ad interessarsi più positivamente di don Milani con un articolo di padre Giuseppe de Rosa che seppure con un punto interrogativo parla di don Milani come di «un profeta del nostro tempo».
Al tempo di Papa Ratzinger nel 2007 a firma di padre Piersandro Barzan, un grande gesuita in fama di santità, appare invece sulla rivista che mezzo secolo prima attaccato don Milani con un articolo di Angelo Perego, una grande, documentata e appassionata biografia di don Lorenzo Milani che perfino nel titolo ridà a don Milani ciò che è di don Milani: «Don Lorenzo Milani: un prete schierato con il Vangelo». Due anni dopo è «L’Osservatore Romano» a rivalutare don Milani con un articolo di Carlo Carletti. È ormai i riconoscimenti non finiscono più. Nel 2007, quarantennale della morte, il cardinale Silvano Piovanelli dice in una intervista a «Luce»: «Non si spiega don Milani se non come un prete di fede» e il cardinale Antonelli sale a Barbiana per consacrare «la memoria di un grande sacerdote fiorentino». Ora a Barbiana Papa Francesco ha reso omaggio a don Milani educatore non perché la sua fosse una scuola cattolica qualsiasi, ma perché era soprattutto esercizio di carità visto che «ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia» ha anche il diritto al «possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità». E alla fine ha messo l’accento sul fatto che don Milani proprio per le sue indocilità e le sue durezze fosse un prete vero, non un pretino che parla dentro i denti, né un santino che dà la precedenza alle mosche. Il Papa ha citato significativamente alla fine il confessore di don Milani, don Bensi per cui don Lorenzo «si ingozzò letteralmente del Vangelo», «partì subito per l’assoluto» e proprio per questo «trasparente e duro come un diamante doveva ferirsi e ferire».