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TERRA SANTA, SPERANZE DI PACE DOPO VISITA DI POWELL

La liberazione di 180 prigionieri palestinesi, la riammissione di 25mila lavoratori dei «territori» in Israele, una riunione segreta sulla sicurezza tra esponenti dell’uno e dell’altro fronte, l’annuncio di un incontro tra i primi ministri Abu Mazen (alias Mahmud Abbas) e Ariel Sharon e la riapertura dei passaggi Cisgiordania – Giordania e Gaza – Egitto almeno al transito di merci sembrano aver rimesso in movimento nello scorso fine settimana la questione della pace in Medio Oriente. La missione del Segretario di Stato americano Colin Powell, che secondo alcuni osservatori sarebbe persona più gradita a Mazen che a Sharon, pur non avendo forse compiuto miracoli, appare stanotte circondata da un piccolo, tenue alone di speranza.

Coperta da un’orrenda scia di sangue almeno dal settembre 2000, quando Sharon si recò sul Piazzale delle Moschee a Gerusalemme con una scorta armata di un migliaio di uomini, l’angusta e difficile strada verso una ragionevole convivenza tra palestinesi e israeliani è diventata d’improvviso visibile, almeno per un momento, proprio su quella cosiddetta ‘roadmap’, quel tracciato di pace indicato da Onu, Unione Europea, Russia e Stati Uniti che però il governo di Tel Aviv non ha ancora ufficialmente accettato.

Un recente sondaggio svolto in Israele indica che una consistente maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole al percorso che entro il 2005 dovrebbe portare alla nascita ufficiale di uno Stato chiamato Palestina e ai suoi rapporti pacifici con Israele; ma, come ieri Mazen ha ricordato a Powell, Sharon non ha ancora impegnato il suo Paese alla piena realizzazione del progetto. Spera forse di ottenere ‘concessioni’ di natura imprecisata durante la sua visita in programma per il 20 maggio a Washington? Nella capitale statunitense Sharon ritiene forse di poter disporre di ‘amici’ più fidati di Powell, quel clan di potenti consiglieri governativi che alcuni osservatori chiamano “sharonites”, gli sharoniti. Il primo ministro israeliano e quello palestinese potrebbero però parlarsi a quattr’occhi già venerdì 16 maggio, prima dell’incontro tra Bush e Sharon. Potrebbe trattarsi, se davvero ci sarà, di un colloquio di grande importanza, forse decisivo, in cui quel che Powell e Mazen si sono detti oggi in privato potrebbe rivestire un ruolo non indifferente. Secondo fonti statunitensi qualificate ma anonime, citate stanotte da alcune agenzie di stampa internazionali e dall’italiana Ansa, in Cisgiordania, a Gerico, mentre imperversavano 45 centigradi all’ombra, Mazen si sarebbe impegnato a “sradicare” la violenza per la parte che gli compete. Una promessa – se davvero c’è stata – tanto calda e sudata quanto la temperatura in cui il colloquio privato si svolgeva. E la missione di Powell non è solitaria né ancora conclusa: giunto ieri al Cairo, l’alto rappresentante dell’Unione Europea Javier Solana incontra oggi il presidente egiziano Hosni Mubarak che poi incontra Powell; Solana vede quindi il segretario generale della Lega Araba, l’influente Amr Mussa, e procede quindi per Giordania, Arabia Saudita, Libano, territori palestinesi e Siria. Sarà solo un caso che, nell’incrociarsi di queste missioni, esce oggi per la prima volta su un organo di stampa americano (Time) un’intervista del presidente siriano Bashar Assad in cui si afferma che anche il governo di Damasco si è impegnato con Powell a “sospendere le attività” delle organizzazioni palestinesi e libanesi anti-israeliane da anni attivi in Siria? Non siamo ancora a metà maggio: se dovessero essere rose, potrebbero fare a tempo a fiorire. Diversamente, ci resteranno purtroppo, ancora una volta, le solite, antiche spine insanguinate. (Pietro Mariano Benni)Misna