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Piombino, l’orrore dell’ospedale accanto
Piombino è un posto piccolo finora ritmato solo dai turni degli operai, un modesto centro dove i più si conoscono fra loro, dove mai si penserebbe potesse verificarsi una vicenda degna di un racconto di Robert Sheckley dove l’omicidio diviene uno sport. La storia di un’infermiera killer accusata di aver ucciso 13 pazienti dell’ospedale cittadino è piombata come un fulmine a ciel sereno a portare sconcerto, incredulità, orrore.
Ma ancor più agghiacciante è il pensiero che in questa vicenda atroce tu possa aver conosciuto bene una delle vittime, la decima, quella il cui decesso inatteso ti aveva meravigliato nel marzo dello scorso anno facendoti pensare a un caso di mala sanità e innescando invece risolutivamente – si viene a sapere adesso – l’indagine. Una parentesi: muoiono di emorragia interna, tutti nello stesso piccolo reparto di un piccolo ospedale, dieci pazienti che non dovevano morire, imbottiti di eparina che non dovevano prendere, e solo al decimo la macchina giudiziaria si muove, e con tale lentezza che altri tre pazienti fanno in tempo a morire nello stesso modo nei mesi successivi? Ma il peggio è, per te che vieni adesso a saperlo, che questa decima vittima, Mario, è una persona che conoscevi da trent’anni, una cara persona che ti era familiare, che frequentava la tua parrocchia e che era anche abbonata a «Toscana Oggi»!
A questo punto la ferita inferta al sonnolento tran tran cittadino ti entra dentro, e ti chiedi che razza di mente stia dietro all’uccisione, lucida e senza motivo – l’ossimoro è stridente – di qualcuno che appartiene al tuo ambiente, alla tua vita… «Non è possibile», affermano i vicini di casa dell’infermiera incriminata. «Sono il capro espiatorio», protesta l’accusata. «L’infermiera che tutti vorrebbero avere», dichiara il primario. Ma pur essendo ancora solo a livello di indagini mi sembra una forma di ironia involontaria. Staremo a vedere.