Italia
90 anni fa l’inutile strage che cambiò il mondo
di Ennio Cicali
Nessuno sperava, nell’autunno 1918, di giungere in poco tempo alla vittoria fanale, che avrebbe concluso la prima guerra mondiale. Gli eserciti austro-ungarico e tedesco si stavano riorganizzando per tentare la spallata decisiva. Poi, nella notte tra il 23 e 24 ottobre i fanti italiani attraversavano il Piave per la battaglia finale. Il 29 le avanguardie italiane raggiungevano Vittorio Veneto. Era finita, il 4 novembre era sottoscritto l’armistizio. Si concludeva la prima guerra mondiale cominciata nell’agosto 1914. L’Italia interverrà il 24 maggio 1915, dopo un periodo di neutralità. Un periodo che vede contrapposti interventisti e neutralisti, tra i quali erano i cattolici. Il 1° novembre 1914 il nuovo papa Benedetto XV pronuncia la sua condanna contro la guerra con l’enciclica Ad beatissimi apostulorum principis cathedram.
Nonostante fosse alleata di Germania e Austria-Ungheria dal 1882, l’Italia aveva intensificato, negli anni precedenti allo scoppio del conflitto, i rapporti con Regno Unito e Francia, conscia che gli accordi raggiunti, in particolare con quello che era stato il nemico austriaco nell’Ottocento, non le avrebbero garantito quei territori considerati italiani (Trentino, Trieste con l’Istria e di Zara con la Dalmazia), tanto che esisteva un accordo segreto del 1902 con la Francia, che praticamente annullava i suoi impegni di alleata.
Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia erano venute meno le favorevoli prospettive dei mesi precedenti derivanti dalla vittoria delle armate russe contro gli austro-tedeschi. Venivano frustrate le speranze di un vasto piano offensivo, oltre alle cattive condizioni di efficienza dell’esercito italiano. La carenza di armi e munizioni ridussero le capacità offensive dei soldati italiani nelle prime quattro battaglie dell’Isonzo e li espose a gravissime perdite: 62 mila e 170 mila feriti fra il 24 maggio e il 30 novembre 1915, quasi un quarto del contingente mobilitato.
Quella che tutti speravano essere una guerra di movimento si trasforma in una «guerra di trincea». Molti monti attorno a Gorizia (Sabotino, Podgora, San Michele) divennero tristemente celebri per l’altissimo numero dei caduti italiani durante le offensive contro di essi.
Saranno anni durissimi che vedono parte del territorio italiano teatro di aspri combattimenti. Dal 24 maggio 1915 al 9 novembre 1917 saranno combattute le dodici battaglie dell’Isonzo che causeranno pesantissime perdite in entrambi gli schieramenti, culminate nella rotta di Caporetto.
Sarà questo il momento che vedrà la manifestazione di volontà e capacità di reazione del popolo italiano dopo la crisi di Caporetto.
Il 15 agosto 1917 papa Benedetto XV chiede l’avvio di trattative di pace con una Nota ai capi dei popoli belligeranti. Presentando la guerra come una «inutile strage», il papa indica alcuni punti guida per le trattative. La nota pontificia avrà grande risonanza pubblica e rafforzerà l’opposizione alla guerra, non avrà invece conseguenze sul piano diplomatico a causa della netta chiusura dei governi dell’Intesa.
Il 4 novembre 1918 l’annuncio del generale Diaz: I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
La guerra è finita, ora presenta il conto che per l’Italia sarà particolarmente pesante: i caduti sono 680 mila, intere classi sono state decimate, 1.050.000 i feriti (compresi i mutilati). Non meno pesante il conto economico 69 miliardi 200 milioni di lire finanziato attraverso un gigantesco indebitamento dello Stato. Cifre che appaiono spropositate rispetto agli acquisti territoriali e ai presunti accrescimenti di prestigio e sicurezza ottenuti dall’Italia con la guerra.
Nulli anche i risultati politici. Dalla grande guerra nasce la rivoluzione bolscevica e da questa l’Unione Sovietica, con il rafforzamento del comunismo. Il trattato di Versailles italianizzato in Versaglia da Mussolini pone le basi per la nascita del fascismo e del nazismo. Sono i germi che porteranno dopo vent’anni al secondo conflitto mondiale.
La Toscana nella prima guerra mondiale
Morto l’ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto
Solo nel 1968 l’Italia si ricordò dei quei «ragazzi» che avevano combattuto nella prima guerra mondiale e istituì, a sessant’anni da quegli avvenimenti, l’ordine dei cavalieri di Vittorio Veneto, con il conferimento di una decorazione e di un vitalizio di 60 mila lire annue (30 euro) che poi i vari governi si sono si scordati per decenni di aggiornare. L’ultimo cavaliere di Vittorio Veneto, Delfino Borroni, è morto domenica scorsa in provincia di Milano, dove viveva in una casa di riposo. Aveva 110 anni. Nel 2008 sono scomparsi anche Lazzaro Ponticelli e Francesco Domenico Chiarello.