Cultura & Società
80 anni fa la strage di Sant’Anna di Stazzema (e non solo)
Il 12 agosto del 1944 il massacro nazifascista di civili colpevoli di aiutare partigiani ed ebrei. Ma in Toscana, purtroppo, non ci fu solo questo
La guerra non ha mai una giustificazione. Possiamo tentare di spiegare i motivi geopolitici di un’azione militare, mai di capire come può un uomo armato infierire su un altro uomo, o una donna, peggio ancora un bambino, senza difese, occhi contro gli occhi. Ottant’anni non hanno aiutato a cambiare l’uomo che odia: chi di noi avrebbe pensato di poter assistere nel nostro tempo, alle stesse stragi che commemoriamo ogni anno promettendo, promettendoci, che mai più, mai più… E invece appena nove mesi fa Israele, poi Gaza, e prima ancora l’Ucraina, l’ospedale pediatrico di Mariupol.
Con quale coraggio l’uomo ricorda le stragi della Seconda guerra mondiale consegnate alla storia, quando continuiamo a viverne altre senza che il mondo abbia la forza, o la volontà di fermarle.
Ottanta anni fa, anno 1944, l’anno della liberazione dal nazifascismo per buona parte dell’Italia, eppure la stagione dei massacri dei civili: centinaia di film hanno raccontato l’odio e il sangue che contrappuntarono la nostra terra in quei mesi. Quando i tedeschi in ritirata verso il nord, gonfi di rabbia, decisero di far scontare agli italiani l’armistizio e il sostegno alla lotta partigiana che cresceva e rappresentava sempre di più una spina nel fianco dei nazisti e degli ultimi sussulti del regime di Mussolini, asserragliato nell’Italia del nord. I tedeschi in ritirata avevano eretto una poderosa opera difensiva fortificata che correva per 320 chilometri da Massa Carrara a Rimini lungo il crinale appenninico.
Un fronte per fermare gli alleati che avanzavano inesorabilmente dopo aver liberato Roma: una linea che attraversava l’Italia centrale spezzandola in due, fra l’Emilia Romagna e la Toscana. Si chiamava linea Gotica e negli ultimi mesi della guerra, fra il 1944 e l’inizio del ‘45 diventò il teatro delle stragi che qui cerchiamo di ricordare e che purtroppo non hanno insegnato nulla all’uomo.
Per tutte Sant’Anna di Stazzema in provincia di Lucca è diventata il simbolo dell’istinto spietato, peraltro già mostrato alle Fosse Ardeatine, nel marzo del ‘44, di cui erano capaci le belve naziste. Dai racconti dei testimoni e dei sopravvissuti, si capisce che il copione era sempre lo stesso. Sentite come descrive l’eccidio di Sant’Anna, lo scrittore Manlio Cancogni: «Li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non più lunga di venti metri e larga altrettanto una piazza di tenera erba, tra giovani piante di platani, chiusa tra due brevi muriccioli; e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare»
Inutili furono i tentativi di fuga degli uomini che provarono a evitare il rastrellamento, gente semplice, contadini che vivevano nelle campagne toscane, avvertiti dell’arrivo dei tedeschi da un disperato passaparola. Invano. Intere famiglie furono massacrate.
Un giovane militare ha raccontato di essere accorso a Valdicastello la mattina del 12 agosto 1944, alla ricerca dei familiari, e di aver trovato più di cento cadaveri carbonizzati davanti al piazzale della chiesa. In mezzo a questi, la moglie con in braccio l’ultima bambina di tre mesi. Non si saprà mai quanti furono i morti. Forse 560. Molti corpi furono ridotti in cenere, perché gli aguzzini avevano usato dei lanciafiamme per distruggere le tracce di ciò che avevano fatto.
Consapevoli loro stessi del passaggio infernale e dell’orrore compiuto. Le stragi nazifasciste, concentrate nella primavera estate del ‘44, in Toscana furono più di 280, consumate in 83 comuni dove si contarono 4.500 morti civili. Gli squadroni della morte colpirono con particolare, spietata predilezione i cittadini riuniti in preghiera nelle chiese. Più facile e vigliacco sparare a persone inermi.
A Civitella in Val di Chiana, la mattina del 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, la chiesa di Santa Maria Assunta era piena di fedeli, arrivati anche dalle altre frazioni del comune per assistere alla celebrazione. Quando si materializzarono all’improvviso i tedeschi, la gente era concentrata nel centro di Civitella e in chiesa. Irruppero nelle case sparando all’impazzata senza distinguere fra donne e bambini. Secondo un macabro rito, in chiesa i nazisti entrarono dopo aver indossato grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue. Si stava celebrando la Messa. Divisero i fedeli in gruppi e li giustiziarono con colpi alla nuca. Il parroco don Alcide Lazzeri sarebbe stato risparmiato in quanto religioso, ma scelse di condividere la sorte dei suoi parrocchiani. Ne morirono 244. Che cosa c’entravano i civili? Agli occhi dei tedeschi si erano macchiati della colpa di aver protetto perseguitati, partigiani ed ebrei.
A Farneta di Lucca il 7 e il 10 settembre, furono fucilati dodici monaci certosini: avevano nascosto nel Monastero un centinaio di ricercati. Insieme a loro morirono altre trentadue persone che erano state accolte nella Certosa: alcune erano accusate di aver fatto resistenza ai militari di Hitler, ma altre vennero scelte per far numero nell’operazione di rappresaglia delle truppe tedesche in ritirata. I monaci, ai sopravvissuti, lasciarono un fiero messaggio: «Se veniamo uccisi, voi dite che è stato a causa della carità». Il numero di morti nello spazio di pochi mesi fa impressione.
Nel Padule di Fucecchio la 26° Divisione corazzata tedesca agli ordini del generale Peter Eduard Craseman, il 23 agosto, uccise 174 civili: uomini, donne e bambini senza distinzione. Non c’entravano nulla. All’origine c’era la lotta cieca ordinata dal Feldmaresciallo Kesserking contro le bande partigiane, che secondo informazioni fornite al Comando si stavano nascondendo nel Padule. Non era vero, ma l’eccesso di zelo di Kesserkling portò alla morte di innocenti, ingiustamente accusati di fiancheggiare i partigiani. Le truppe naziste non potevano permettersi di subire attacchi lungo il cammino della ritirata in prossimità della linea Gotica, quindi a ciascun soldato venne data «carta bianca» di eliminare chiunque fosse anche sospettato di complicità con i partigiani. A nessuno fu lasciata la possibilità di difendersi e di spiegare, le uccisioni avvenivano spesso direttamente all’interno delle abitazioni o davanti alla porta di casa, una volta fatta uscire e raccolta tutta la famiglia. Dappertutto gesti eroici, molti dei quali ancora sconosciuti o che emergono nel corso del tempo da testimonianze a volte casuali.
A Fiesole tre carabinieri vennero fucilati per salvare la vita a dieci civili: si consegnarono al Comando tedesco pur sapendo che andavano incontro a morte sicura. Nessuna pietà, nessun ripensamento: ripeterono lo stesso gesto compiuto da Salvo D’Acquisto. «Se muoio per altri cento , rinasco cento volte: Dio è con me e io non ho paura». Di loro rimane l’esempio e la medaglia d’oro al valor militare.
Per i più giovani, speriamo che resti almeno la lezione che la libertà di cui godiamo oggi ha avuto un prezzo. E che a pagarlo sono stati anche tanti cittadini sconosciuti con atti di eroismo autentico, così lontani, oggi, dalla nostra civiltà con troppe finzioni.