Cultura & Società

8 settembre, una festa di luci per Maria che nasce

DI CARLO LAPUCCIQuando le giornate si accorciano e il crepuscolo è sempre più sollecito a giungere riportando al buio la cena, si rinnovano, mascherati da giochi e svaghi, i riti antichi di propiziazione al fine di scongiurare la scomparsa della luce e chiamare il ritorno annuale del sole. Sono soprattutto i fuochi e le luminare dell’autunno, che s’inoltrano anche nell’inverno, fino ed oltre il solstizio di dicembre.

Firenze ha la sua festa delle luci la notte tra il 7 e l’8 settembre, in occasione della festa della Natività di Maria Vergine. Non è molto antica, modesta, spesso ridotta quasi a solo ricordo, riaffiora continuamente perché è radicata in una tradizione profonda, comune ai popoli della terra: la luce, il fuoco nella notte: dalla celebre Luminara di Pisa alle fastose e antiche tradizioni della Cina. Difficilmente, anche in tempi tristi Firenze rinuncia a cantare in questa notte: Ona, ona, ona, o che bella rificolona!…

Festa antichissima è invece la Natività della Vergine: risale al V secolo in Oriente e la diffusione in Occidente avvenne nel secolo VII. L’evento, ricco di elementi leggendari, si trova narrato in diversi apocrifi, come il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dello Pseudo-Matteo e specificamente sulla natività e l’infanzia di Maria nel Libro della natività della Beata Maria e dell’infanzia del Salvatore.

La Festa delle Rificolone è popolare anche nel nome, che un tempo era Fierucolone. Si collega comunemente al termine fiera e le fierucolone erano le contadine che la sera del 7 settembre convenivano a Firenze, particolarmente in Piazza della SS. Annunziata, dove ancora si svolge la festa, e in Via dei Servi dove vendevano filati, pannolini, funghi secchi e altri prodotti della campagna. Queste donne erano semplicione, spesso vestite con abiti tradizionali, un po’ goffe, l’esempio di una donna agghindata a festa, in vistosi fronzoli o all’antica e senza garbo e si dice ancora d’un tipo simile: Pare una rificolona!

L’immagine, che richiama la Befana (anche nella notte di questa festa si usavano i lanternini), ebbe successo e i lumi, ricoperti con involucri di carta trasparente multicolore, presero la forma di un donnone grasso sotto la cui ampia e lunga gonna si poneva la candela o il lume. Legata in cima a una lunga canna veniva portata in trionfo, al suono di trombette e di campanelli, e fatta apparire improvvisamente alle finestre dei primi piani per spaventare gli abitanti.

Il divertimento dei ragazzi consisteva nel far incendiare la carta bersagliando la rificolona soprattutto con sassate e cerbottane, inutilmente inseguiti dalle fruste dei carrettieri. Poco male perché una volta bruciata la lanterna, la canna serviva per far saltare dal capo i cappelli dei campagnoli o dei passanti un po’ tonti.

Della festa ne dà una descrizione l’Abate Gaetano Buganza in una nota alle sue Poesie latine (1786), in una delle quali descrive proprio questa manifestazione: «La sera del dì 7 Settembre si fa una fiera nella Piazza detta della SS. Nonziata di vari generi, e vi concorre gran contado dalle nostre Campagne. Un passatempo di tal notte è quello d’andare in giro con la Fierucolona. Altro non è questa che una canna alla cima della quale si pone un lampione di carta con un lume acceso. Girano le strade i Giovani con la Fierucolona circondati da una folla di popolo, che fischia, suona i campanelli e canta. I sassi e le buccie di Cocomero scagliate nella Fierucolona sono una particolarità della festa».

È il tempo degli ultimi cocomeri, se la stagione è ancora calda, e un altro scherzo consisteva nel lavare la faccia di qualcuno con le bucce finite del cocomero. Qualche zucca appariva alle finestre, vuotata e illuminata, nella forma di Morte secca.

Era soprattutto una festa della campagna nella città, proprio davanti al tempio della Vergine che raccoglieva la devozione di tutta la popolazione di una vastissima zona intorno alla città. Da campi e da paesi più lontani i pellegrini scendevano il giorno della vigilia della festa, con provviste, merce da vendere, in abiti e costumi variopinti, con cavalcature, carrette. Dormivano sotto i loggiati e nei chiostri della città e la mattina all’alba prendevano la messa con i nuovi arrivati dalle località fuori delle mura e i fiorentini. Poi cominciava la fiera, oggi decaduta insieme a tutte le altre per le mutate forme di scambio. L’altra occasione di un consistente afflusso di campagnoli a Firenze era il Sabato santo, in occasione dello Scoppio del Carro, per trarre i pronostici dalla corsa della Colombina sull’esito dei futuri raccolti.

Dopo aver passato diverse crisi la Festa delle Rificolone, rinata dopo la guerra, mostra una certa vitalità e si è trovata la sua piccola nicchia nella società dei consumi e della globalizzazione, forse sotto la protezione della Vergine sotto i cui occhi si svolge. La solennità della sua nascita ha sempre goduto di una grande devozione dovunque. Pochi sanno che ebbe un rinnovato interesse per merito del grande poeta tedesco Clemente Brentano che nella prima metà del XIX secolo raccolse le visioni della beata Caterina Emmerich, in particolare in un volume Vita della B. V. Maria, tradotto e diffuso anche in Italia. Riallacciandosi alle narrazione degli apocrifi la narrazione della veggente si punteggia di eventi simbolici che portano la meditazione su questa nascita, vero preconio dell’avvento della salvezza del genere umano.