Cultura & Società
8 marzo, omaggio alla donna
In un giorno che rivendica le lotte passate delle donne, auspichiamo di potere tutti iniziare davvero a lottare perché l’umanità si ridesti
“Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra’. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 26-27).
Dire che l’immagine divina nell’uomo è nel suo logos, ovvero nella sua intelligenza, nella sua interiorità, non è tutto; in realtà Dio ha come “spezzato in due” la Sua immagine, affidandone metà al lato maschile e metà a quello femminile della natura umana. In questo modo, la prima caratteristica divina che brilla con evidenza nell’immagine umana è quella della relazione, della reciproca necessità: il Dio-Trinità, Dio di relazioni, non può essere adeguatamente rappresentato se non in una relazione, quella tra uomo e donna. Cosa implica questo? È solo una questione riproduttiva? La nostra sessuazione si riduce a quello che abbiamo tra le gambe, e a pochi altri tratti somatici e comportamentali?
Che significa, per me e per te, essere un maschio o una femmina della nostra specie?
Focalizziamoci sulla ricorrenza civile odierna: una donna che voglia vivere quella vocazione particolarissima e insostituibile che le proviene dalla vita, e cioè essere donna, come può viverla al meglio?
Secondo un’impostazione che indubbiamente risente della concezione platonica, ma che altrettanto indubbiamente ha influenzato la nostra rappresentazione mentale dell’opera divina, nella dimensione del femminino possiamo ricondurre l’originaria accoglienza, la potenzialità dell’essere resa attuale, operativa, dalla sua fecondazione da parte del Logos divino, la Parola che irrompe nell’oscurità e porta le cose a esistere. Immagine tratta senza dubbio dalla fecondazione sessuale, che però mantiene la sua valenza poetica e analogica, perché suggerisce che l’espressione del femminile, apparentemente passiva, è in realtà la condizione di possibilità dell’essere, che proprio il femminile accoglie e custodisce, permettendone l’attuazione – in altri termini, è come dire che la realtà stessa è femminile, perché in essa tutto ciò che è può esistere, per grazia.
Abbiamo parlato di “femminile”, intendendo che questa qualità dell’essere in generale appartenga sia a uomini che donne, come d’altronde quella del “maschile”. Maschile e femminile sono in ogni persona, e formano i due poli equivalenti e complementari di proattività e accoglienza, aggressività e pazienza, iniziativa e permanenza, ecc. che insieme permettono la vita, del singolo, della specie e della realtà nel suo insieme. Da qui si possono concepire uomini e donne concreti come i detentori, i rappresentanti di questi due aspetti, senza che si appiattiscano gli uni o le altre in cliché bidimensionali, machismi vs. svenevolezze, ma si ricordi piuttosto che un uomo è tale quando la sua virilità sa anche integrare, ad esempio, la pazienza e l’accoglienza proprie del femminile, e una donna è tale quando può esprimere anche la forza e la proattività del maschile come completamento della sua ricettività supportante e della sua cura.
È la chiamata alla cura accomuna l’uomo e la donna. Il racconto della creazione che abbia citato all’inizio prosegue con la missione che Dio affida ad Adamo: prendersi cura del suo giardino (cfr. Gen 2, 8ss.). Eppure, in questa sua vocazione l’uomo cerca un destinatario paritario della sua cura, e che di lui si prenda cura.
Se l’uomo e la donna recano, come abbiamo visto sopra, i due “pezzi” dell’immagine di Dio, ciò che li induce a ricomporre questa immagine è il senso di carenza, il desiderio di amare e di essere ricambiati, che l’uomo non riesce a colmare con nessun altro essere del mondo, e che trova iscritto nel suo cuore prima ancora di incontrare l’oggetto adeguato del suo desiderio.
Potremmo arrivare a dire che la donna, con tutto il conturbante mistero della sua alterità, dà un volto alla vocazione dell’uomo, lo chiama a uscire da sé per prendersi cura (come sa bene chiunque abbia a che fare con la formazione degli adolescenti, che si “svegliano” solo quando si innamorano per la prima volta).
Se proviamo a valutare con spirito davvero critico tutti i luoghi comuni e le propagande delle varie lobbies che formicolano nel mondo mediatico attuale, e che generano pregiudizi che forse operano anche in noi credenti magari facendosi sentire a disagio leggendo discorsi come questo, vedremo che in ultima analisi ogni contestazione “woke”, ogni evocazione di un arbitrio assoluto dell’uomo circa il valore della sua sessuazione, in fondo non è che un attacco alla donna, e al suo prezioso mistero. La riprova di ciò sono le situazioni pericolose e umilianti in cui devono versare tante donne ogni giorno per la mancata custodia e il perduto valore delle differenze: dai bagni unisex alle carceri dove le detenute subiscono stupri da parte di uomini auto-proclamatisi donne, dalla pretesa della negazione della propria maternità in favore delle prestazioni lavorative all’osceno mondo della pornografia che nutre l’immaginario maschile ormai dall’infanzia. Un mondo che non ha cura della donna, è un mondo che perde per sé la cura, e diventa un inferno.
In un giorno che rivendica alcune giuste lotte passate delle donne, auspichiamo di potere tutti iniziare davvero a lottare perché l’umanità si ridesti, e si prenda cura di chi si prende cura di ognuno, sin dai primi istanti che si viene al mondo, e insegni alle donne l’insostituibile preziosità della loro cura, come sanno bene, anche se non lo sanno (ancora o più) esprimere i bimbi e i morenti.