Vita Chiesa

50° Sinodo: card. Schönborn, «Il Sinodo non è un parlamento, ma il Papa ci incoraggia a non temere le discussioni»

A prendere la parola per primo è stato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, che in Vaticano sta per concludere la sua seconda settimana di lavori. «Con grande gioia ci troviamo in quest’aula per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi», ha esordito il cardinale Baldisseri, che alla fine del discorso ha detto al Papa: «Le siamo riconoscenti per aver incoraggiato fin dall’inizio del suo ministero petrino il cammino sinodale», esortando i vescovi a «cercare forme sempre più profonde e autentiche dell’esercizio della collegialità sinodale». Poi il porporato ha citato le parole pronunciate dal Papa nel corso della prima Congregazione generale del Sinodo in corso in Vaticano: «Il Sinodo è il luogo di manifestazione della collegialità episcopale, del rinnovamento della Chiesa nella fedeltà al Vangelo e dell’azione imprevedibile dello Spirito Santo». Su queste «tre preziose indicazioni», ha assicurato il cardinale Baldisseri, i vescovi vogliono camminare «insieme, cum Petro e sub Petro nel servizio al popolo santo di Dio».

«Il Sinodo e il Concilio sono inseparabilmente legati insieme», e l’attuazione del Concilio «è ancora in corso», come affermava san Giovanni Paolo II. Ne è convinto il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale dell’Austria, che oggi, davanti al Papa, ha tenuto la relazione commemorativa dei 50 anni dell’istituzione del Sinodo di vescovi. «Nel corso degli ultimi cinquant’anni – ha detto il cardinale – il Sinodo dei vescovi è certamente stato uno degli strumenti privilegiati per l’attuazione del Vaticano II», ma «è solo uno dei luoghi di interpretazione e di applicazione delle riforme volute dal Concilio: tutta la ricca varietà di espressioni di vita della Chiesa contribuisce al rinnovamento desiderato dal Concilio, a una sua ermeneutica più ampia». In questi 50 anni, ha fatto notare il porporato, non sono mai mancate critiche al Sinodo dei vescovi e alla sua efficienza»: un esempio per tutti, «la questione dell’autorità del Sinodo, se esso sia un organo di consulenza e supporto al mistero petrino, oppure se abbia anche pieni poteri decisionali».

«La questione del metodo accompagna il cammino del Sinodo fin dal principio», ha ricordato il card. Schönborn, nella sua relazione, in cui ha sottolineato che in questi 50 anni «si è discusso molto sul metodo del Sinodo: si sono criticati spesso aspetti del metodo di lavoro, e qualcosa, nel corso degli anni, si è imparato dall’esperienza ed è stato migliorato», ad esempio con i «rinnovamenti di metodo sotto Papa Benedetto XVI e Papa Francesco». Sinodo significa «cammino insieme», sinodalità significa «essere insieme in cammino», ha ricordato il card. Schönborn: «Chi è insieme in cammino, ha bisogno di una mèta chiara e di una buona via verso tale mèta». «Metodo» è andare «verso qualcosa», e il metodo «è del tutto decisivo, se si vuole che il Sinodo abbia un buon esito». Ecco perché «i dibattiti sul metodo del Sinodo non sono questioni secondarie di carattere organizzativo», ma «contribuiscono in modo molto decisivo a che il Sinodo conduca al fine».

«Il Papa ci incoraggia a non temere le discussioni, a viverle con quel movimento degli spiriti che fa maturare il discernimento e prepara i cuori a riconoscere ciò che il Signore stesso ci mostra», ha detto il card. Schönborn, additando il «modello» del Concilio di Gerusalemme, che «cominciò con un drammatico conflitto», in cui «era in gioco tutto del cammino cristiano: non solo la dottrina, ma la vita». Tale conflitto, però, «venne espresso, lo si chiamò chiaramente per nome e se ne discusse apertamente». «Questa parresia mi ricorda due frasi che Papa Francesco rivolse a noi padri sinodali l’ottobre scorso, all’inizio e alla fine dell’assemblea straordinaria del Sinodo», ha affermato il porporato, ricordando che gli apostoli, a Gerusalemme, «non scrissero delle perizie teologiche contro cui poi scrivere e presentare delle controperizie». «È normale che il Sinodo, per il quale Papa Francesco ha scelto il tema ‘matrimonio e famiglia’, suscitasse in tutta la Chiesa un intenso dibattito teologico», ha commentato Schönborn. «In ciò vedo un vero guadagno per lo sviluppo organico della dottrina della Chiesa», ha sottolineato il porporato.

«Il Sinodo non è un parlamento», ha poi osservato il Cardinale, che nella sua relazione ha affidato ai padri sinodali «tre pensieri» sul cammino del Sinodo dei vescovi: «Missione, testimonianza, discernimento». «Da 50 anni – ha ricordato il porporato – si è posta ripetutamente la domanda se il Sinodo debba avere non solo un voto consultativo, ma anche un voto deliberativo. Ma i vescovi non sono rappresentanti come i deputati un parlamento!». A Gerusalemme, gli apostoli «hanno dato testimonianza di quello che hanno visto e ascoltato». «Per favore orientiamoci al Concilio di Gerusalemme!», l’invito di Schönborn, che ha detto ai padri sinodali riuniti in Vaticano per il Sinodo sulla famiglia: «Parliamo in modo meno astratto e distaccato. Testimoniamoci reciprocamente quel che il Signore ci mostra e come noi sperimentiamo il suo agire». A Gerusalemme, ha sottolineato, «Pietro, Paolo e Barnaba hanno parlato di avvenimenti e di esperienze. Noi restiamo troppo spesso nelle teorie, nei ‘si potrebbe’ e ‘si dovrebbe’, quasi mai parliamo in maniera personale delle nostre esperienze di missione. Ma è questo che si aspettano i nostri fedeli!».

Al Sinodo non ci sono «lotte di potere», né si mira a «un compromesso politico su un minimo comun denominatore», ha poi assicurato il card. Schönborn, nella sua relazione, in cui, citando il Concilio di Gerusalemme, ha fatto notare che «la questione non era quella di un voto consultativo o deliberativo, ma del discernimento della volontà e della via di Dio». «Discussione accese, liti addirittura e l’intenso disputare fanno naturalmente parte del cammino sinodale, già a Gerusalemme fu così», ha ribadito il cardinale, «ma lo scopo dei testimoni il discernimento comune del volere di Dio». «Anche quando si vota, come alla fine di ogni sinodo – ha precisato Schönborn – non si tratta di lotte di potere, di formazioni di partiti di cui poi i media con piacere riferiscono, ma di questo processo di formazione comunionale del giudizio, come lo abbiamo visto a Gerusalemme». «L’esito, così speriamo – ha concluso Schönborn –, non è un compromesso politico su un minimo comune denominatore, bensì questo valore aggiunto, questo plusvalore che dona lo Spirito Santo». 

Lo «tsunami culturale» delle «teorie del gender», che «minacciano oggi la forza che la famiglia porta». È uno dei cambiamenti dell’Europa, che «non è ciò che era prima del 1999»: a citarlo, insieme però alle tante famiglie «prime testimoni della fede nella società, presidio di umanità per ogni persona», è stato il cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo metropolita di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra E Galles, che, durante la commemorazione dei 50 anni del Sinodo, ha tracciato un ampio affresco della situazione dell’Europa, a partire dalla fine dell’«eurocentrismo» che proprio il Sinodo dei vescovi ha «contribuito a dissolvere, non solo per il mondo ma anche per la Chiesa». «Ora tutto il mondo è cambiato», l’analisi di Nichols, che ha ricordato come «ogni parrocchia della diocesi di Westminster ha parrocchiani provenienti da 30 o 40 nazioni differenti». Senza contare le «migrazioni attraverso l’Europa di popoli che fuggono da guerre, violenza e povertà», che mettono il nostro continente di fronte alla «tentazione di rimanere una fortezza, proteggendo se stessa e si suoi benefici e comfort».  

«Ci auguriamo che prima di intraprendere una nuova via, si possa ripercorrere il tragitto già fatto, per fare memoria del già accaduto, celebrare la Risurrezione e protendersi verso la promessa-invito di Cristo». Si è concluso con questo auspicio l’intervento di monsignor Mathieu Madega Lebouakehan, vescovo di Mouila e presidente della Conferenza episcopale del Gabon, che ha portato la testimonianza dell’Africa. In particolare, il vescovo ha citato la conclusione della prima Assemblea speciale per questo continente, che risale al 1994: la prima stesura del Messaggio finale «non fu accettata e il messaggio fu ripreso. Nell’Aula sinodale alcuni padri trovavano il Messaggio troppo lungo, tuttavia volevano aggiungere qualche altra cosa, altri lo dicevano corto, ma volevano toglierne delle parti. La grande gioia era vedere l’accordo totale alla fine. Durante tutti gli altri Sinodi successivi il ritornello si ripeteva puntualmente». «Il culmine dei Sinodi – ha commentato Lebouakehan – è sempre la manifestazione reale della collegialità tra i membri del collegio episcopale con il Sommo Pontefice e tra di loro, dopo uno scambio fraterno e fruttuoso di notizie ed esperienza, nell’ascolto reciproco». Nella celebrazione dei Sinodi, ha ricordato il vescovo, «il Papa è l’autorità che, dopo aver valutato e vagliato le conclusioni di un’Assemblea generale ordinaria, dà alla Chiesa una esortazione apostolica post-sinodale».