Toscana

50 anni di Regione, Matulli: «Le polemiche non mancavano ma c’era grande rispetto»

Dal 1948, per più di un ventennio, il dettato costituzionale in questa materia era stato disatteso. «C’erano ragioni politiche – ricorda Matulli –: le sinistre all’inizio non volevano le Regioni. Il nostro ordinamento prevedeva uno stato delle autonomie e non federale come, per esempio, quello tedesco. Un’idea, quella delle autonomie, che si rifaceva al pensiero di don Sturzo». Fu il 1968 «elemento di rottura in tutto il mondo» ad accelerare il processo di nascita delle regioni come elemento di novità: questa fu la risposta della classe politica alle istanze che venivano dalla società. «Bisogna ricordare – sottolinea Matulli – che il Partito comunista italiano era il più forte di tutta l’Europa dell’ovest. Proprio questo fattore aveva determinato la cosiddetta “democrazia incompiuta”». Ma con la nascita delle regioni tutto cambiò: «I comunisti sarebbero potuti andare al potere nel livello locale. Tra i grandi cambiamenti dell’epoca bisogna ricordare la nascita dello statuto dei lavoratori. E anche l’arrivo del “consociativismo” nel Parlamento con le leggi che venivano gestite all’interno delle commissioni con larga adesione di entrambe le parti».

E così ci furono le elezioni. Fu Ivo Butini, alla guida della Democrazia cristiana, che «coniò il famoso slogan della “battaglia di Toscana” che ci contrapponeva al governo delle sinistre». «Alle elezioni regionali la Toscana – continua Matulli – si confermò una “regione rossa”. Ma faceva parte di un particolare terzetto con la Lombardia dove il presidente era della Dc, con l’Emilia il cui presidente era del Pci e, appunto, la nostra regione dove il presidente era il socialista Lelio Lagorio. Il Partito socialista, infatti, a livello locale appoggiava il Pci e a livello nazionale la Dc». Nel neonato Consiglio regionale «il dibattito era molto intenso e partecipato». Sull’approvazione dello Statuto ci fu un caso singolare. «Il presidente del Consiglio Elio Gabbuggiani, comunista, – ricorda Matulli – desiderava che il provvedimento passasse a larga maggioranza e con grande partecipazione. Quando si arrivò al voto finale la Dc si astenne perché non era d’accordo su alcuni particolari. E così, su indicazione di Gabbuggiani, anche la maggioranza si astenne: lo Statuto non fu approvato. Le indicazioni della Dc quindi furono ascoltate e, alla votazione seguente, ci fu l’approvazione».

Questo clima di grande lealtà sollevò le critiche dell’ultrasinistra, in particolare dell’esponente del Psiup Guido Biondi. «E poi – sottolinea Matulli – ci fu il caso dell’occupazione degli uffici regionali da parte dell’ultrasinistra: fu un momento di grande imbarazzo, soprattutto per il Pci che non voleva chiamare la polizia per liberare le stanze del palazzo. Quindi i comunisti chiamarono gli operai della Galileo a “contro occupare” gli uffici regionali per esprimere solidarietà alla Regione». La situazione si risolse. Ma Butini non si lasciò sfuggire l’occasione «di denunciare il fatto che l’istituzione Regione anziché chiamare un’altra istituzione come la polizia si era affidata a dei privati cittadini per una questione di ordine pubblico e lo definì un “colpo di Stato”». Lagorio intervenne dicendo che gli sembrava un termine esagerato e, simpaticamente, parlò semmai di «un botto di Regione».

L’attività legislativa proseguì e fu fruttuosa. «La Dc che era all’opposizione portò avanti varie iniziative. In particolare, io fui il promotore – sottolinea Matulli – di un provvedimento di sostegno economico alla piccola e media impresa. Uno di quelli che ha avuto vita più lunga ed è arrivato ai nostri giorni con Fidi Toscana». Il clima era acceso, le polemiche non mancavano. Ma c’era anche molta collaborazione «grazie allo spessore dei protagonisti dell’epoca, di tutti gli schieramenti». Le regioni furono un grande passo avanti. «Prima – continua – tutti i provvedimenti dei Comuni dovevano passare dall’esame dei Prefetti che rappresentavano lo Stato sul territorio. La Regione doveva programmare e legiferare, mentre i Comuni e le Province dovevano amministrare». Con il tempo questo sì è perso. «Due sono le valutazioni – spiega Matulli – che possiamo fare oggi. La prima: le regioni dovevano essere molte meno, al massimo cinque o sei. La moltiplicazione di enti regionali si è portata varie conseguenze, anche degenerative. La seconda: la Regione doveva essere ente di alta amministrazione, di programmazione e di legislazione ma non di amministrazione attiva come è poi diventata. Così si è persa la valorizzazione degli enti locali arrivando al cosiddetto “centralismo regionale”».

E così arriviamo ai nostri giorni. «Nella grande crisi politica che stiamo vivendo – sottolinea Matulli – gli enti locali stanno riprendendo il loro protagonismo. Le elezioni comunali sono consultazioni sempre più dalla dimensione civica dove il livello politico nazionale è distante. Questo fatto si sta allargando anche alle regioni. Per esempio, in Emilia Romagna siamo alla vigilia delle elezioni: il candidato del Pd (che è anche il presidente uscente) ha voluto identificarsi con la sua dimensione locale di amministratore, non volendo simboli di partito nella sua campagna elettorale e richiamando così un protagonismo regionale. Sull’altra sponda c’è Salvini che invece ha impostato il voto regionale come un referendum nazionale».