Cultura & Società

35 anni fa la caduta del Muro, una transizione che non è finita

Il nostro sistema politico è stato modellato, fin dall’inizio della storia della Repubblica, dalla Guerra fredda. E si è dissolto non appena è finita. Il percorso successivo è stato accidentato e non è terminato

Quello che rimane oggi del muro di Berlino (foto Pixabay)

La domanda delle cento pistole, che non potrà mai avere una risposta certa, oggi è più che mai drammaticamente attuale: il mondo bipolare, basato sull’equilibrio fra Stati Uniti e Unione Sovietica, dava maggiori garanzie di sicurezza di quello in cui viviamo? Il crollo del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’impero comunista sovietico che entusiasmò il mondo democratico e fece brindare alla ritrovata libertà di milioni di persone oppressi da regimi totalitari è stata solo una grande breve illusione? Probabilmente no, anche perché altrettanti milioni di persone avevano pagato a caro prezzo il sistema che faceva capo all’Urss. Rimpiangere il sistema mondiale come era prima del 1989, è forse un esercizio cinico. Tuttavia se rapportiamo la speranza che si era generata in tutti noi la notte del 9 novembre 1989 e quello che ne è scaturito – di buono ma anche di cattivo – e che in questi anni e in questi giorni ci tiene in apprensione, dobbiamo convenire che prima che cadesse il bastione comunista, in tempi cioè di Guerra fredda, molti popoli dilaniati poi dai conflitti non avrebbero, con le loro scelte belliciste, messo in pericolo l’ordine e la sicurezza mondiale.

Capisco che sia un ragionamento spericolato, anche perché – come argomenta lo storico Paolo Mieli – che racconta questa tesi – «se non fosse venuto giù il Muro di Berlino non saremmo stati noi a pagare l’immane prezzo del mantenimento dell’ordine internazionale». Per cui: «Se il costo della nostra sicurezza deve essere la condanna alla schiavitù per milioni di uomini, allora è eticamente più giusto che ci adattiamo a correre qualche rischio, pur grande che sia».

Ma oggi che celebriamo quel giorno di 35 anni fa in cui le macerie tracciarono il varco fra la Germania Est e la Germania Ovest, e aprirono i nostri cuori alle aspirazioni di pace di tutti i popoli, mi sembra corretto affrontare anche questo tipo di riflessione, ancorché amara. Ci aspettavamo una stagione senza guerre e un clima finalmente pacifico, dopo tante crisi fra Usa e Urss che avevano portato il mondo sull’orlo di una Terza guerra planetaria.

Quasi ogni giorno i telegiornali raccontavano di tedeschi dell’Est, soprattutto giovani, caduti sotto il fuoco dei Vopos, le famigerate guardie della Ddr, o catturati mentre tentavano di scavalcare il Muro protetto dal filo spinato e poter conquistare la libertà.

Il Muro è stato la frontiera insormontabile che ha diviso le due Germanie dall’agosto del 1961 al novembre 1989, e fu eretto per impedire la fuga dei tedeschi dell’Est in Occidente. La sua demolizione segnò la dichiarazione del fallimento di un’ideologia che per settant’anni aveva rappresentato l’incubo delle democrazie e della libertà. Certo, non venne giù da solo. La disgregazione cominciò con il cambiamento del clima in Unione Sovietica, dove il segretario del Partito comunista e poi presidente Michail Gorbaciov, con la sua politica di trasparenza, allora celebre come «glasnost», e di riforme, l’altrettanto famosa «perestrojka», fu determinante per abbattere l’impero che aveva schiacciato l’Europa dell’Est dalla fine della Seconda guerra mondiale. La Storia attribuirà la sua parte anche a Giovanni Paolo II, Papa venuto dalla Polonia, che con la sua elezione diede una spallata importante alla cortina di ferro.
Nei fatti la fine del Muro fu un passaggio quasi casuale, che si consumò all’improvviso, «provocato» da una conferenza stampa del portavoce del governo tedesco della Ddr, Schabowski. Sembrava una delle tante, fumose, inutili liturgie del regime. Finché un giornalista italiano dell’agenzia Ansa, Riccardo Ehrman, unico fra i presenti ad aver intuito quello che stava succedendo, chiese se tutti i cittadini tedeschi avrebbero potuto da quel momento varcare la frontiera senza passaporto, in entrata e in uscita. Preso in contropiede, Schabowski, lesse un foglietto che teneva in tasca e rispose di sì. Da subito. Era l’annuncio di una rivoluzione. Il popolo tedesco scese in strada, e con esso tutti i democratici che anche da lontano avevano vissuto gli anni del terrore.

Il declino del sistema bipolare Usa Urss, la caduta del Muro e poi la dissoluzione dell’Unione Sovietica hanno un rapporto strettissimo con le vicende italiane.
Come ha scritto il saggista Angelo Panebianco, il nostro sistema politico è stato modellato, fin dall’inizio della storia della Repubblica, dalla Guerra fredda. La presenza da noi del più forte partito comunista d’osservanza sovietica del mondo occidentale ha condizionato per decenni in tanti suoi aspetti la nostra società. Ne ha influenzato la cultura: per esempio gli intellettuali italiani, a grande maggioranza, erano stati vicini o comunque non ostili al Pci. Ha determinato poi l’indispensabilità della Dc, che agli occhi della parte maggioritaria dell’opinione pubblica rappresentava una «diga» in funzione anticomunista. Essendo quel sistema politico figlio della Guerra fredda, non poteva non seguirne il destino. Si è dissolto non appena è finita.

Si comincia con la legge elettorale sostenuta da un movimento di opinione, guidato da Mario Segni per la riforma in senso maggioritario. E poi via via è scomparso tutto quell’apparato che oggi va sotto il nome (improprio) di Prima repubblica. A cominciare dal sistema dei partiti. Che tuttavia non ha ancora trovato una nuova stabile identità. Quella che chiamiamo Seconda repubblica, in realtà è una definizione scorretta, perché si riferisce alla trasformazione politica avvenuta durante gli anni 1992-94 conseguente a Tangentopoli e al cambiamento del nome di alcuni partiti, ma non a una modifica di natura istituzionale e costituzionale, che non ci sono state. La caduta del Muro di Berlino, per tornare al nostro ragionamento iniziale, ha costretto il Pci a cambiare nome in Pds attraverso la svolta della Bolognina bagnata dalle lacrime del suo coraggioso segretario Achille Occhetto, e da quelle, più strazianti, di un popolo di militanti dilaniato da un doloroso dibattito interno. Sono scomparsi la Dc, il cui ruolo di «diga» è diventato inutile per la scomparsa del comunismo, e il Psi (principalmente colpito da Tangentopoli), è cresciuta la Lega nord, è nata Forza Italia e dal Msi ha preso corpo Alleanza nazionale. La legge elettorale, per anni fondata sul sistema proporzionale, non ha ancora trovato un assetto condiviso, benché da tempo tutti concordino sulla necessità di aggiornarla.

Temo però che questo percorso sia ancora accidentato e consegnato, non tanto alla responsabilità dei partiti, ma alla maturità degli uomini.