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11 settembre 2001, il ricordo di un bambino di allora: “La paura per quelle immagini ci fece adulti troppo presto”
Di quel pomeriggio dell’11 settembre 2001 ricordo bene ogni minuto. «Interrompiamo il programma ‘la Melevisione’ per una breve edizione straordinaria del Tg3». La voce dell’annunciatrice della Rai entrò nella penombra del salotto dei miei nonni, come fece nelle case di altri milioni di italiani.
Di quel pomeriggio dell’11 settembre 2001 ricordo bene ogni minuto. «Interrompiamo il programma ‘la Melevisione’ per una breve edizione straordinaria del Tg3». La voce dell’annunciatrice della Rai entrò nella penombra del salotto dei miei nonni, come fece nelle case di altri milioni di italiani. Poi, dopo la sigla del telegiornale, apparvero una torre in fiamme e un aereo che si schiantava sull’altra lì vicino. Nessuno parlava, nessuno spiegava cosa stesse succedendo, e io, che all’epoca non avevo ancora compiuto nove anni, ero stupito, e quasi arrabbiato che avessero interrotto il mio programma preferito. Poi mio nonno, seduto accanto a me si alzò di scatto, chiamando la nonna: «Corri, vieni a vedere: hanno attaccato l’America». Corsi al telefono (uno di quelli in cui dovevi girare una rotellina per comporre il numero e che adesso sono fuori produzione, altro segno dei vent’anni passati) e feci il numero di mio babbo. Volevo che mi spiegasse, volevo capire. Ma lui disse solo «Sto guardando, ti richiamo» senza neppure un «ciao». E allora mi spaventai. Furono giorni particolari, sentivo in casa una tensione che non avevo mai avvertito prima, ma io non riuscivo a comprendere del tutto la gravità della situazione, tanto che ripetevo spesso a mio fratello, più piccolo di me: «Tranquillo, pochi giorni e non sentiremo più parlare di questa storia». Tutti – in tv, nei giornali, perfino nelle conversazioni tra amici – continuavano a ripetere che niente sarebbe stato più lo stesso, che era un evento che avrebbe cambiato la storia per sempre, che i tempi che ci aspettavano erano incerti e pericolosi, ma io non ci credevo. Il fatto che oggi mi trovi a scrivere queste cose per rievocare quei momenti, rende bene l’idea di come mi sbagliavo (se a questo non fossero bastati, del resto, migliaia di vittime e venti anni di guerra). A ripensarci oggi, capisco che forse non si trattava solo dell’ingenuità di un bambino: la verità è che avevo paura. Per la prima volta i «grandi» non avevano risposte, per la prima volta li vedevo spaventati e vulnerabili, e questo mi toglieva le certezze e mi terrorizzava. Cos’è cambiato dopo l’attacco alle Torri gemelle? Parlando da un punto di vista geografico e storico, saremmo quasi portati a rispondere ‘niente’, visto che al comando dell’Afghanistan ci sono di nuovo i talebani, gli stessi che governavano allora. Ma nella vita di tutti noi esiste un prima e un dopo l’11 settembre. In qualche modo, da quel giorno abbiamo anche solo inconsciamente cambiato il nostro modo di essere, di comportarci e di pensare. Questo però vale molto di più chi con quell’evento è cresciuto. La signorina bionda che interruppe «la Melevisione» in quel momento non poteva saperlo, ma sarebbe diventata il ricordo comune di un’intera generazione, il simbolo di un rito di passaggio dall’innocenza e la serenità del Fantabosco alla rigida realtà. Una voce che ancora oggi rievoca l’istante preciso in cui milioni di bambini come me furono costretti ad abbandonare l’infanzia per diventare, in un attimo, degli uomini e delle donne del ventunesimo secolo. Mario Guerra