Vita Chiesa
10° anniversario papa Francesco, l’intervista all’amico protestante Marcelo Figueroa
Un teologo protestante, un rabbino, un vescovo cattolico: sono i tre che per diversi anni si sono ritrovati negli studi di Canal 21, l’emittente della diocesi di Buenos Aires, per dialogare di fede, vita, famiglia, modernità. Insieme hanno registrato trentadue puntate di Biblia dialogo vigente (Bibbia, un dialogo attuale). La trentatreesima rimase in sospeso quando uno dei tre, Jorge Mario Bergoglio, partì per il conclave. Doveva avere per tema «la amistad», l’amicizia, come quella che ancora lega papa Francesco con il rabbino Abraham Skorka e con Marcelo Figueroa, giornalista, biblista, teologo, per venticinque anni direttore della Società biblica argentina. Proprio a lui (che nei prossimi giorni sarà in Toscana) abbiamo chiesto di raccontarci, dal suo particolare punto di vista, i dieci anni dall’elezione del Papa.Da tanti anni è amico di Jorge Mario Bergoglio: un’amicizia tra un protestante e un cattolico nata intorno alla Bibbia. Quali sono i punti comuni che vi hanno legato?«Sono tanti i punti in comune che ci hanno unito in tutti questi anni. In primis la percezione che la Bibbia è il libro ecumenico per eccellenza e, di conseguenza, uno “strumento” che ci permette di stringerci intorno a essa. Poi, una ferma convinzione che la preghiera di Gesù, perché tutti i Cristiani siano uno perché il mondo creda (Gv 17,21), continua a essere viva come quando fu pronunciata. Entrambi crediamo che il dialogo tra le differenti confessioni cristiane, ma soprattutto l’esercizio di un ascolto empatico, sia una via indispensabile per camminare insieme. Il passato non è incompatibile, al contrario, è condizione del dialogo ecumenico: il mantenere ciascuno la sua appartenenza di fede senza imporla all’altro. Infine, ci ha unito la consapevolezza che quell’unione intorno alla Bibbia ci conduceva anche a incontrarci con i nostri fratelli di religione ebraica e poi anche tramite la stessa radice abramitica con i musulmani. In questo modo la nostra amicizia si è dispiegata come cerchi concentrici sempre più grandi e profondi.Con la vostra trasmissione televisiva sulla Bibbia, insieme al rabbino Skorka, avete fatto 32 puntate: quando partì per il conclave nel 2013, Bergoglio disse che la prossima puntata l’avrebbe registrata al suo ritorno. Lei si aspettava, in quel momento, che potesse essere proprio lui a diventare Papa? Che effetto le fece la notizia?«In tutta franchezza, non pensavo che sarebbe stato eletto Papa. Quando parlammo alcune ore prima della sua partenza per il conclave mi disse che sicuramente sarebbe stata un’elezione breve e che presto sarebbe tornato a registrare il programma sull’amicizia già concordato. La notizia provocò in me inizialmente un effetto di grande emozione, sorpresa, allegria e poi anche un po’ di nostalgia, perché ero cosciente che la vicinanza nella fraterna amicizia, così come la stavamo conducendo, sarebbe stata molto difficile».Quando vi siete sentiti, la prima volta dopo l’elezione? Lei cosa disse all’amico appena diventato Papa?«Per una questione di rispetto alle sue priorità date dalla sua investitura, e date anche le mie possibilità, il primo incontro personale fu a settembre 2014. Anche se già da prima avevo avuto con lui conversazioni telefoniche ed epistolari, al vederlo vestito da Papa provai un’emozione enorme. Però, fu lui che immediatamente prese l’iniziativa e iniziò a dialogare come se il tempo non fosse trascorso, senza le asimmetrie di carica che apparivano tanto evidenti. Come suo solito, mi fece sentire vicino, amato, amico».Lei ha sicuramente seguito questi dieci anni di pontificato: quali aspetti del vecchio amico Jorge Mario ha ritrovato in papa Francesco, e nel suo modo di interpretare il papato? Ci sono delle cose invece che l’hanno sorpresa?«Penso che al centro della personalità come essere umano, come prete e come leader cristiano ha tenuto la virtù di mantenere le sue radici più profonde. Non solo nella sua vita e nei suoi usi quotidiani, nel suo stile di vita austero e nella sua vita spirituale personale. Ma mi riferisco anche alla sua visione della missione della Chiesa, attraverso la sua conoscenza dei Vangeli, del suo essere gesuita e in particolare attraverso la sua espansione universale della “teologia del popolo” di origine latinoamericana. Posso dire che mi sorprese la rapidità e il costante adattamento ai cambiamenti e ai problemi profondi universali e dell’umanità. Non tanto perché non credevo fosse capace di farlo. Mi ha sorpreso che come leader mondiale sia riuscito a mettere in agenda situazioni difficili e invisibili, e lo abbia fatto come referente geopolitico mondiale e profeta da un punto di vista spirituale e biblico».In questi anni avete dato vita, insieme, all’edizione argentina de L’Osservatore Romano, e continuate a sentirvi per telefono o email. Senza rivelare niente di privato, come definirebbe l’umore, lo stato d’animo del Papa? Determinato, preoccupato, ottimista?«In tutti questi anni il suo stato d’animo è stato incredibilmente calmo e tranquillo. Ha mantenuto il suo raffinato stile di umorismo. Ha saputo accorciare le distanze in modo personale, anche se ancora non comprendo dove ha il tempo per rispondere alle lettere durante il giorno o come faccia a chiamare al telefono tra tutte le cose da fare e le tensioni che prova. Quando uscì l’enciclica Fratelli Tutti, gli feci un’intervista chiedendogli se era ottimista o pessimista circa quel tema, e mi rispose “né l’uno né l’altro, ciò che ho e che mantengo è la speranza”. Lo vedo occupato con un’energia invidiabile e con una lucidità mentale e una profondità spirituale crescente sui temi che affliggono l’umanità e preoccupato, sì, in merito alla guerra in Ucraina. Credo che questa preoccupazione si sia vista pubblicamente».Papa Francesco ha scritto la prefazione per il suo libro, Le diversità riconciliate: nel suo testo parla di «ecumenismo viscerale». Cosa significa? Che impronta ha dato Bergoglio al cammino per l’unità dei cristiani?«Credo che il termine “ecumenismo viscerale” sia un passo in più nel cammino ecumenico. Francesco, anche se non è molto legato alle definizioni, in tutti questi anni ha definito e contestualizzato l’ecumenismo. Si può parlare attraverso il suo apporto, di ecumenismo della preghiera, della misericordia, della pace, della solidarietà e del sangue. Per quanto concerne il “viscerale”, questo sorse da una conversazione con lui, e fa riferimento a un ecumenismo che non solo si vive con l’intelletto o con la spiritualità, ma che nasce “dalla pancia”, ossia dalla parte più profonda dell’essere cristiano. È un ecumenismo che sente, ferisce, commuove e si estende, con tutto l’essere posto al suo servizio».Pensa che un giorno registrerete la puntata numero 33? Nel caso, su quale argomento le piacerebbe farla?«Per tre anni ho avuto a Buenos Aires un programma radiofonico sul dialogo ecumenico e interreligioso, chiamato “Dialoghi per l’incontro”. Registrai inizialmente in Santa Marta con Francesco un programma sull’amicizia (il tema della puntata mancante del programma televisivo), e poi un altro a Buenos Aires sullo stesso tema con il rabbino Abraham Skorka. Sarebbe un sogno ricominciare a registrare un programma televisivo tutti e tre, però credo che dovremmo parlare con sincerità sull’attualità, con uno sguardo a questi dieci anni del suo papato e con uno sguardo proiettato al futuro».