Vita Chiesa
Morto a Firenze don Renzo Rossi: una vita accanto ai più poveri
E’ morto questa mattina al Convitto Ecclesiastico di Firenze, don Renzo Rossi, uno dei sacerdoti più conosciuti della diocesi, il «prete dei poveri». Nato nel centro di Firenze nel 1925, in seminario aveva conosciuto don Lorenzo Milani di cui divenne amico. Dopo una lunga esperienza a fianco degli operai nelle fabbriche della città, tra gli anni ’60 e ’70, chiese e ottenne di aprire la missione fiorentina a Salvador de Bahia, in Brasile, di cui è cittadino onorario.
Per quasi 20 anni fece servizio nel paese sudamericano dedicandosi in particolare al servizio nelle carceri, primo sacerdote ad entrare nelle celle brasiliane, soprattutto a fianco dei detenuti politici. Tornato in Italia è vissuto per brevi periodi anche in Africa, in Asia, in India, «tra i poveri, accanto a loro», diceva sempre quando raccontava la sua vita ai giovani. Da qualche anno non aveva una parrocchia ma era a servizio della diocesi e del vescovo. L’arcivescovo Giuseppe Betori, nell’ottobre 2009 quando venne allontanato don Alessandro Santoro, lo mandò per 5 mesi alle Piagge.
«Ho trovato in lui il prete più gioioso e più obbediente della diocesi», ha dichiarato all’ANSA l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori. L’arcivescovo non ha voluto aggiungere altro rimandando, come avviene per ogni sacerdote, all’omelia che pronuncerà in occasione dei funerali fissati per mercoledì prossimo, alle 10, nella basilica di San Lorenzo. Dalle 9 di domani, invece, la salma di don Rossi, che lo scorso anno aveva ricevuto anche il Fiorino d’oro dal Comune di Firenze, sarà esposta nella cappella delle Stimmate di San Lorenzo. Sempre in San Lorenzo, martedì 26 marzo, alle 21, momento di preghiera. I familiari e gli amici ringraziano in particolare Flavio Senici, Stefano Fumagalli, Giancarlo Bartolini e tutto il personale del Convitto ecclesiastico per l’assistenza prestata a don Renzo.
Su don Renzo Rossi, pubblichiamo questo ricordo di Mario Bertini.
«Fino a qualche mese fa dicevo che ero vecchio e mi sentivo giovane, ora dico che sono vecchio e mi sento vecchio, ma sono sereno e accetto la volontà di Dio».
Ai moltissimi amici che, in quest’ultimo mese, gli hanno fatto visita, don Renzo Rossi ha ripetuto questa battuta, come sintesi di accettazione di un male che non perdona, ma anche con quel dolcissimo, fanciullesco sorriso che lo ha accompagnato per tutta la vita ed anche nei suoi ultimissimi giorni.
«Vedi – mi disse giovedì scorso – sapessi come è bello pregare offrendo tutto noi stessi, la nostra vita, invece di raccomandarsi alla Madonna per guarire… Bisogna andare a Lourdes o a Fatima per offrire i nostri dolori, non per chiedere di evitarli… Per me ora è giunto questo passaggio e lo vivo serenamente…».
Con questo stato d’animo, all’inizio della sua ultima Settimana Santa, don Renzo è volato al cielo e, ieri mattina, quando gli accostai al petto un ramoscello d’ulivo appena benedetto, lo strinse tra le mani con la delicatezza di un bambino. Ma la sua accettazione del male, per la naturale perdita di energia, non è mai stata per lui un abbandono del servizio sacerdotale, anzi, l’ultimo 31 di gennaio – meno di due mesi fa – pur essendo già abbastanza debilitato, dopo aver partecipato nella Pieve di Rifredi all’annuale celebrazione per il giorno onomastico di don Facibeni, si spostò velocemente presso la Comunità di Legnaia per animare un serata in onore di don Lorenzo Milani.
E una decina di giorni dopo, a Lastra a Signa, volle addirittura presiedere un’altra Liturgia per il ricordo decennale della morte del suo grande amico don Alfredo Nesi.
Questo per dire che don Renzo è sempre stato – e lo fu per tutta la vita – un prete attivo e in pieno servizio; una sorta di battitore libero, sempre pronto a scendere in campo in qualunque momento; una riserva di lusso nella panchina della Diocesi il quale, negli ultimi anni, non ebbe nessuna difficoltà a sostituire, per tempi abbastanza lunghi, prima don Santoro alle Piagge e successivamente don Luciano a Pontassieve.
Un ultimo periodo – e un ultimo mese – quindi, intenso anche di impegni come servitore di una Chiesa alla quale ha sempre voluto bene, obbedendo, seppur con l’animata dinamica del suo carattere, a ben sei Arcivescovi.
E perfino l’altra settimana, pur essendo abbastanza in crisi, cercò fino all’ultima ora di essere presente, in San Frediano, per la presentazione di un volume dedicato alle lettere che gli scriveva il suo amico – un po’ speciale – Giorgio Falossi. Non ce la fece, ma non si risparmiò a voler essere presente alla serata rilasciando una breve intervista che, a suo nome, fu fatta ascoltare agli intervenuti.
Chiudo questo breve ricordo citando una chiacchierata con lui degli ultimi giorni, quando gli chiesi il permesso per potergli appioppare una definizione:
– Vedi, don Renzo, io a forza di praticare, e a volte anche di scrivere, di certi preti ho sempre cercato di affiancarli ad un attributo: don Facibeni, il santo; don Carlo Zaccaro, la fantasia dell’amore; don Nesi il catto-comunista… per te, se ti va, ti chiamerei il prete tridimensionale….
– Mi piace, ma dimmi prima il perché….
– Perché dapprincipio facevi – e a volte lo fai ancora – il parroco e quindi il prete diocesano… poi hai fatto, per tanti anni il prete di fabbrica alla Fonderia delle Cure e all’Italgas… e, infine, la terza dimensione del prete missionario in Brasile…
– Va bene, mi piace, – e dopo aver fatto un bella risata – hai molta fantasia, ma resti un bischeraccio… .