Vita Chiesa
I monaci di Bose nella pieve di Cellole
Hanno concelebrato i vescovi di Siena, Fiesole, Pistoia, l’ausiliare di Milano Emilio De Scalzi, l’ex maestro delle cerimonie del papa Piero Marini e Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani. Assisteva alla cerimonia il vescovo emerito di Salisbury Davide Stancliffe.
Con il priore Enzo Bianchi e 30 monaci e monache di Bose, erano presenti anche il Sindaco Giacomo Bassi, il Vicesindaco e il Maresciallo Comandante della Stazione dei Carabinieri di San Gimignano; e il dottor Gabriello Mancini presidente della Fondazione del Monte dei Paschi di Siena.
Numerosi gli amici, i benefattori e gli ospiti provenienti da varie parti d’Italia. Ma anche fedeli della diocesi di Volterra e di quelle limitrofe. Tutti per incoraggiare l’avvio di questa nuova esperienza e manifestare il loro affetto e il loro apprezzamento, il loro sostegno e la loro gratitudine ai monaci.
All’inizio della cerimonia fratel Enzo Bianchi ha ricordato il lungo e impegnativo percorso che, dal 1965 data di nascita di Bose, ha portato fino a questo quarto inizio, dopo Gerusalemme, Ostuni e San Masseo ad Assisi. E ne ha sottolineato la specificità e la particolarità. Così come, prima della conclusione, ha ringraziato, anche nominativamente, tutti coloro che si erano adoperati, in vario modo e a vario titolo, per realizzare la nuova Cellole. Fra molti l’architetto Carlo Fantacci e il suo studio, ideatore e curatore dello stupendo e magistrale recupero architettonico, in perfetta armonia con l’ambiente e il paesaggio circostante.
Nell’omelia il Vescovo diocesano ha avuto parole di paterna accoglienza e vivissima gioia per questa nuova fraternità monastica, fortemente attesa e desiderata, manifestando ai monaci tutta la fiducia sua e della Chiesa volterrana e incoraggiandone il cammino monastico di sequela del Signore.
Ha colpito la cerimonia semplice ed essenziale, attenta specialmente alla liturgia, all’accoglienza, alla gratitudine. E anche questo è sembrato un primo indicatore di percorso.
Rivedere restaurati e rianimati da presenze stabili quegli ambienti che costituivano la canonica di Cellole e l’abitazione del contadino e soprattutto ammirare quella Pieve, vero gioiello dell’arte romanica, dedicata a Santa Maria Assunta, ma erede di precedenti edifici di culto risalenti addirittura all’anno 1000, intitolati a San Giovanni Battista e poi a Sant’Ilario, tornata ad essere crocevia di pellegrini e di cercatori di Dio, ha aperto davvero il cuore alla speranza.
Quel luogo, che nel 1200 ebbe un ruolo importante anche nella vita civile della zona e fu sede di un lebbrosario, lo abbiamo rivisto illuminato di un nuovo splendore. È una lunga storia che rinasce, nella memoria di una fede secolare e di tanti semplici uomini e donne. Di Bartolo Buonpedoni da San Gimignano, «il Giobbe della Toscana», che nel 1300, con letizia francescana, qui spese la sua vita «in una carità vicendevole, umile e povera verso i malati, i pellegrini, i fratelli e le sorelle senza distinzione di sorta». Fino a don Serafino Cantini, ultimo prete residente, alla cui stagione è legata l’esperienza dei Campi scuola diocesani e di qualche parrocchia di Milano.
Ma la gioiosa e cordiale presenza di tante autorevoli persone e di cristiani anonimi a quella festa era anche preghiera e auspicio, sebbene non esplicitamente dichiarato, che la comunità di Bose, nata appunto alla chiusura del Concilio Vaticano II, contribuisca, anche in Toscana, a stimolare ulteriormente la realizzazione del sogno del suo priore Enzo Bianchi, affidato alle pagine di Jesus del Febbraio scorso. Quello «di una Chiesa in cui è bello e buono vivere». Un sogno che il priore Bianchi precisava così, a conclusione di quel suo scritto: «Resto convinto che oggi occorre realizzare il Concilio di cui siamo stati partecipi e testimoni, e così preparare una nuova primavera per la Chiesa. Sì, essa può ancora arrivare». Evidentemente la scelta di quella inaugurazione nella festa liturgica della Divina Misericordia e con nell’aria il profumo della primavera non era stata casuale.